La “monetizzazione” delle ferie non godute dai dipendenti pubblici.

Con due recenti sentenze, la Suprema Corte di Cassazione ha definitivamente preso posizione su un tema controverso, che ha dato luogo a un ampio contenzioso, in cui sono stati impegnati giudici di ogni ordine e grado, fino alla Corte di Giustizia Europea.
Il contenzioso ha trovato origine in una disposizione normativa, il comma 8 dell’art. 5 del D.L. 95/2012, assunta dal legislatore italiano, con l’esplicita finalità di “riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni”.
Ai sensi della norma:
Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione … (omissis) … sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. … (omissis) …”
Si tratta di disposizione che presuppone, nel bilanciamento tra diritti, entrambi di rilievo costituzionale, una prevalenza del diritto pubblico al contenimento della spesa amministrativa rispetto al diritto privato del lavoratore al riposo e/o al relativo corrispettivo risarcitorio.
Tale prevalenza è stata oggetto di contestazione e valutazione in numerose pronunzie del giudice ordinario italiano fino ad essere sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia UE, che ne ha dovuto verificare la legittimità rispetto sia alla direttiva 2003/88/CE concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro, sia all’art. 31 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Con la propria pronunzia del 18.01.2024, n. 218, la Corte di Giustizia UE, sez. I, ha statuito che il divieto di versare al lavoratore un'indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite, maturati e non goduti, alla data della cessazione del rapporto di lavoro, previsto per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, contrasta con i principi della direttiva 2003/88/CE e dell’art. 31 CDFUE
In particolare, la Corte di Giustizia UE ha precisato:
- che la protezione efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico;
- che la razionale programmazione del periodo di ferie può essere finalizzato a incentivare i lavoratori a fruire delle loro ferie e che un diritto alle ferie annuali retribuite non può estinguersi quando il lavoratore non è stato in condizione di beneficiare delle sue ferie
- che la perdita del diritto del lavoratore può essere ammessa solo se “il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle stesse
La Suprema Corte di Cassazione, alla luce della citata pronunzia, ha dunque assunto due importanti decisioni in cui ha, di fatto, sancito i limiti e le condizioni per l’applicabilità del comma 8 dell’art. 5 del D.L. 95/2012, sottolineando l’onere, in capo al datore di lavoro pubblico, di dare prova di aver fatto in modo che il lavoratore potesse godere effettivamente delle ferie e di aver espressamente avvisato il lavoratore delle conseguenze in caso di rinuncia al godimento delle medesime
Si vedano quindi:
Cass. civ., sez. lav., 12.04.2024, n. n. 9982: “Il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie non comporta la perdita del diritto alla relativa indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto, a meno che la parte datoriale non dimostri di avere, nell'esercizio dei propri doveri di vigilanza, invitato formalmente il lavoratore alla fruizione del periodo di riposo, assicurando l'efficienza del servizio a cui il dirigente è preposto durante il godimento del congedo. (Nella specie, la S.C. ha affermato l'insufficienza della mera sollecitazione datoriale alla fruizione delle ferie, se il godimento delle stesse è reso impossibile dalle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, come nel caso del susseguirsi di contratti a termine con scadenza molto breve che non consentono la programmazione del periodo di riposo).
Cass. civ., sez. lav., 21.05.2024, n. 14083: “Nel pubblico impiego privatizzato, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo che il lavoratore godesse effettivamente del periodo di congedo e, quindi, di averlo inutilmente invitato a usufruirne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle dette ferie e alla indennità sostitutiva; pertanto, non è idonea a fare ritenere assolto tale onere la comunicazione con la quale la P.A. chieda al dipendente di consumare siffatte ferie genericamente prima della cessazione del rapporto di impiego e non entro una data specificamente indicata, senza riportare l’avviso menzionato e subordinando, comunque, l’utilizzo del congedo in questione alle sue esigenze organizzative."

a cura di avv. Emilio Augusto Galbiati